Audiolibri Artificiali
Stamane ho creato una grafica ispirata dai personaggi LEGO surrealista e riflessiva, immaginando la macchina da scrivere di Sam Fennan battere la copertina del libro Chiamata per il morto o Call for the dead. Proprio per strafare ne ho fatto anche una versione attualizzando l'opera di Vincent van Gogh, facendola diventare la stessa, dando anche un tocco di movimento a voler catturare proprio il momento in cui stava dando l'ultima pennellata. Riuscite ad indovinare i personaggi?
venerdì 17 gennaio 2025
martedì 7 gennaio 2025
Il cavallante della Providence - Maigret - Georges Simenon - Libro Completo
CAPITOLO PRIMO: LA CHIUSA 14
La ricostruzione pur minuziosa dei fatti non chiariva nulla, se non che la scoperta dei due cavallanti di Dizy era a dir poco inverosimile.
Quella domenica era il quattro aprile , alle tre del pomeriggio aveva cominciato a cadere una pioggia torrenziale.
Nel porto a monte della chiusa quattordici, che collega la Marna al canale laterale, c'erano in quel momento due chiatte a motore dirette a valle, un battello in fase di scarico e una draga.
Poco prima delle sette, quando ormai calava il crepuscolo, era arrivato un battello-cisterna, l'Eco Terza, che ora si trovava nel bacino.
Il guardiano, che aveva dei parenti in visita e avrebbe preferito starsene tranquillo, aveva fatto segno di no a una chiatta che stava sopraggiungendo lentamente, trainata da due cavalli.
Poi l'uomo era rientrato in casa, seguito poco dopo dal cavallante, che era una sua vecchia conoscenza.
«Posso passare? Il padrone vorrebbe essere a Juvigny prima di domani sera...».
«Fa' pure, se vuoi. Però le porte devi manovrarle da te...».
La pioggia cadeva sempre più fitta. Dalla finestra il guardiano vide la figura tarchiata del cavallante che si spostava pesantemente da una porta all'altra, faceva avanzare le sue bestie, poi assicurava i cavi alle bitte.
A poco a poco la chiatta si sollevò al di sopra dei muri. Alla barra non c'era il padrone, ma sua moglie, una donna grande e grossa nativa di Bruxelles, con i capelli di un biondo chiassoso e la voce acuta.
Alle sette e venti La Providence era ferma dietro l'Eco Terza, proprio di fronte al Café de la Marine. I cavalli risalirono a bordo, e il cavallante si incamminò col padrone verso il caffè, dove c'erano altri battellieri e due piloti di Dizy.
Alle otto, quando ormai era buio pesto, un rimorchiatore condusse a valle delle porte i quattro battelli che aveva al traino.
Questo fece aumentare il numero degli avventori nel caffè. I tavoli occupati salirono a sei, e le voci rimbalzavano dall'uno all'altro. Chi entrava sbatteva gli stivali infangati, lasciandosi dietro rivoli d'acqua.
Nel locale adiacente, illuminato da una lampada a petrolio, le donne facevano la spesa.
L'aria era irrespirabile, e tutti parlavano di un incidente avvenuto alla chiusa 8 e dei ritardi che avrebbero potuto subire i battelli che stavano risalendo il canale.
Alle nove la padrona della Proudence venne a chiamare suo marito e il cavallante, che salutarono la compagnia e se ne andarono.
Alle dieci a bordo della maggior parte dei battelli le luci erano spente. Il guardiano accompagnò i parenti fino allo stradone di Épernay, che passa sopra il canale a due chilometri dalla chiusa.
Non notò nulla di insolito. Al ritorno, passando davanti al caffè, guardò dentro e un pilota lo chiamò:
«Vieni a bere un goccio! Sei bagnato fradicio...».
Il guardiano prese un rum, senza sedersi. Due cavallanti che si erano scolati un bel po' di vino rosso si alzarono con gli occhi lucidi e si diressero verso la stalla attigua al caffè, dove si coricarono sulla paglia, vicino ai loro cavalli.
Non erano del tutto ubriachi, ma avevano bevuto quanto bastava per dormire come dei macigni.
sabato 4 gennaio 2025
venerdì 3 gennaio 2025
domenica 6 ottobre 2024
sabato 5 ottobre 2024
Georges Simenon - Il Gatto - RECAP 5 CAPITOLI - Romanzo Psicologico
Aveva lasciato andare il giornale, che prima gli si era aperto sulle ginocchia e poi era scivolato lentamente fino al parquet lucido di cera. Non fosse stato per la sottile fessura che di tanto in tanto gli si disegnava fra le palpebre, si sarebbe detto che dormiva.
Chissà se la moglie ci era cascata... Se ne stava a sferruzzare, nella sua poltrona bassa, dall’altro lato del camino. Sembrava sempre che non lo guardasse neanche, ma lui sapeva da tempo che in realtà nulla le sfuggiva, nemmeno il più impercettibile fremito di un muscolo.
Fuori, le ganasce d’acciaio di una benna piombavano dall’alto della gru e atterravano pesantemente, vicino alla betoniera, con un frastuono di ferraglia. Ogni volta il colpo faceva tremare la casa, e ogni volta la donna sussultava portandosi una mano al petto come se quel rumore, per quanto ormai familiare, la ferisse nel più profondo dei suoi visceri.
Si osservavano a vicenda. Non avevano bisogno di guardarsi. Da anni si osservavano in quel modo, disoppiatto, aggiungendo di continuo al loro gioco nuove sottigliezze.
Émile sorrideva. L’orologio di marmo nero dai fregi di bronzo segnava le cinque meno cinque e pareva che egli contasse i minuti, i secondi. In realtà li contava senza rendersene conto, aspettando anche lui che la lancetta lunga raggiungesse la posizione verticale. Solo allora il rumore della betoniera e della gru sarebbe cessato di colpo. Gli operai nelle loro cerate, con il viso e le mani grondanti di pioggia, si sarebbero bloccati per un attimo, per poi avviarsi verso la baracca di legno che stava in un angolo del cantiere.
Era novembre. Dalle quattro del pomeriggio lavoravano alla luce artificiale, ma presto i proiettori si sarebbero spenti e allora il vicolo, a malapena rischiarato dall’unico lampione a gas, sarebbe bruscamente sprofondato nel buio e nel silenzio.
Émile Bouin aveva le gambe intorpidite dal caldo. Quando dischiudeva gli occhi, vedeva le fiamme, alcune gialle, altre azzurrognole alla base, saettare dai ceppi del focolare. Il camino era di marmo nero, come i candelabri a quattro bracci che lo sormontavano, come l’orologio a pendolo, piazzato giusto in mezzo.
A parte le mani di Marguerite che si agitavano e il flebile ticchettio dei ferri da calza, in casa tutto era silenzioso, statico, come in una fotografia o in un quadro.
Le cinque meno tre minuti. Meno due. Alcuni operai cominciavano già ad avviarsi, lenti e pesanti, verso la baracca, per cambiarsi, ma la gru era ancora in funzione e un’ultima benna si alzò con il suo carico di cemento verso la cassaforma che segnava il primo piano dell’edificio in costruzione.