La gomma di Prosper Donge
Il rumore secco di una portiera. Un’altra giornata aveva inizio. Il motore in folle.
Forse Charlotte stringeva la mano al tassista. Poi l’auto si allontanò. Dei passi, la chiave che entrava nella serratura, lo scatto di un interruttore.
Lo schiocco di un fiammifero in cucina e il leggero sibilo del fornello a gas che si accendeva.
Con la lentezza di chi ha passato la notte in piedi, Charlotte salì le scale troppo nuove, entrò piano piano in camera e girò un altro interruttore. Si accese una lampada schermata da un fazzoletto rosa con una ghianda di legno a ciascun angolo.
Prosper Donge teneva gli occhi chiusi. Charlotte si svestì guardandosi nella specchiera dell’armadio. Quando si liberò della giarrettiera e del reggiseno ebbe un sospiro di sollievo. Era grassa e rosea come un Rubens, ma aveva la mania di strizzarsi più che poteva, e, una volta nuda, doveva strofinarsi la pelle per far sparire i segni.
Aveva un suo modo irritante di infilarsi nel letto salendovi sopra prima in ginocchio, così che la rete s’inclinava tutta da un lato.
«Tocca a te, Prosper!».
Non appena lui si alzava, Charlotte si rannicchiava al suo posto ancora caldo, si tirava le coperte fin sopra gli occhi e non si muoveva più.
«Piove?» chiese lui facendo scorrere l’acqua in bagno.
Ebbe in risposta un vago brontolio. Ma non aveva importanza. L’acqua per radersi era gelida. Si udivano passare dei treni.
Prosper Donge si vestì. Charlotte, che non riusciva ad addormentarsi con la luce accesa, di tanto in tanto sospirava. E quando lui, già con una mano sul pomolo della porta, fece per allungare il braccio destro verso l’interruttore, gli disse con voce impastata:
«Non dimenticarti di andare a pagare la cambiale della radio».
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